Campagna #16 giorno #7: “Voi ci vedete come esseri umani non come assassine e criminali”

Oggi, la testimonainza di Charlotte Tanios – Coordinatrice del settore protezione in Mouvement Social  

 

Charlotte è la coordinatrice del settore protezione per Mouvement Social, una ONG che lavora nelle prigioni femminili in Libano da oltre 20 anni, offrendo supporto psicologico e varie attività di formazione professionale, tenendo presenti le aspirazioni delle donne detenute, al fine di consentire loro di avere un minimo reddito in prigione.

“È molto importante per le detenute essere attive in prigione ed avere un po’ di denaro, soprattutto per le migranti che non hanno familiari vicini come anche per le donne libanesi le cui famiglie, a causa della crisi economica e finanziaria che sta attraversando il paese, non hanno le possibilità e i mezzi per recarsi in visita in prigione e portare beni di prima necessità. Con le attività che svolgiamo cerchiamo di dare loro INDIPENDENZA per essere autonome all’interno del carcere. Vorrei sottolineare che, quando le donne arrivano in prigione si sentono SOLE, SPEZZATE, DISTURBATE CONFUSE, non sanno niente del loro fascicolo legale, hanno bisogno di essere supportate, di sapere quando saranno rilasciate e di come possono riprogrammare la loro vita dopo l’uscita di prigione”.

Il processo di reintegrazione nella società è la prima preoccupazione durante la fase di riabilitazione che svolgono in prigione: “Con il nostro team di operatori sociali, psicologi, avvocati cerchiamo di fornire loro servizi con un approccio olistico per renderle consapevoli della propria situazione in prigione, anche quando sono condannate a lungo termine”.

Molte donne provengono da contesti familiari vulnerabili, sono state vittime di lavoro minorile, matrimoni precoci, non hanno ricevuto formazione professionale, ma hanno vissuto in un contesto di criminalità e pertanto sono entrate in questo circolo vizioso.

La mancanza di affetto, di supporto e di attenzione a volte le ha portate a cercare rifugio nella droga o a trovarsi in percorsi criminali e così alcune di loro sono finite in prigione. Le donne detenute sono responsabili di ciò che hanno fatto, ma allo stesso tempo sono state vittime. “Pensiamo a bambine costrette a lavorare o a sposarsi con uomini che non conoscono, senza avere le capacità per lottare e ribellarsi e, quando a loro volta hanno figli, in contesti di vulnerabilità potete immaginare come si comportano come madri, senza supporto da parte della propria famiglia. Si rifiutano di vivere con la famiglia, cercano rifugio altrove e finiscono in situazioni di conflitto con la legge. Pertanto, l’AGGREDITO DIVIENE AGGRESSORE, è un ciclo perverso e durante il nostro lavoro RITROVIAMO LA BAMBINA CHE È IN LORO che vuole essere LIBERA e FORTE per essere RISPETTATA COME DONNA”.

“Molte detenute ci hanno detto che qui in prigione e nell’ambito delle attività che svolgiamo con loro  si sono sentite rispettate, VOI CI VEDETE COME ESSERI UMANI NON COME ASSASSINE O CRIMINALI, voi riuscite a comprendere quali sono le nostre competenze e capacità affinché noi le possiamo sviluppare per una vita futura migliore. Io ho avuto la fortuna di crescere in una buona famiglia, con la possibilità studiare e di conoscere i miei diritti. Queste donne, invece, spesso sono cresciute in un contesto sociale patriarcale, poco istruito e vulnerabile che le predispone a diventare vittime.  Per questo ho scelto di lavorare nel settore per DARE IL MIO CONTRIBUTO COME DONNA A SOSTEGNO DI ALTRE DONNE e dimostrare che ABBIAMO POTERE”.

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