Il Libano è la cerniera tra l'occidente e il Medio Oriente. Geograficamente un piccolo Paese di 10.452 Kmq., con i confini terrestri segnati da montagne e fertili colline e che si apre con una lunga costa sul Mediterraneo. Il Libano rappresenta un mosaico sociale, culturale e religioso unico al mondo. Sul suo territorio vive una popolazione stimata di circa 4,5 milioni di abitanti, divisa in 18 confessioni riconosciute dalla Costituzione del 1943, a questa si aggiungono circa 300.000 rifugiati palestinesi, che vivono qui dal 1948, e negli ultimi anni più di un milione di sfollati in fuga dal conflitto siriano.
La storia recente del Paese è segnata dai quindici anni di guerra civile, conclusa nel 1990 e la guerra con Israele del 2006. La politica, la società e l’economia libanese sono fortemente segnate dai conflitti e dalle tensioni che caratterizzano tutta a la Regione Mediorientale. In particolare il Libano da anni vive una profonda crisi economica, aggravata dalla cronica carenza dei servizi pubblici essenziali come la scuola e la sanità. Recentemente la crisi economica è stata ulteriormente amplificata dalla presenza costante di circa un milione e mezzo di cittadini siriani. Secondo le stime più accreditate negli ultimi due anni, in seguito alla crisi siriana, circa 200.000 libanesi si sono aggiunti ai 250.000 che già vivevano sotto la soglia di povertà e 300.000, soprattutto giovani non qualificati, hanno perso il loro lavoro.
A febbraio 2019, a distanza di otto mesi dalle elezioni del 6 maggio 2018, viene formato il nuovo governo con a capo Saad Hariri, il cui destino sarà segnato da una crisi economica senza precedenti che a partire dall’ottobre 2019 inciderà profondamente sulla vita del Paese. Due le date che fissano la crisi libanese di questi ultimi due anni:
il 17 ottobre 2019, quando la legge finanziaria presentata dal Governo Hariri basata su ulteriori privatizzazioni e nuove tasse scatena la rivolta popolare che porta in piazza decine di migliaia di persone in tutto il Paese; e il 4 agosto 2020, quando un’esplosione al porto di Beirut devasta la città provocando più di 200 morti, 7.000 feriti e lascia centinaia di migliaia di persone temporaneamente senza casa. Tra gli effetti collaterali di questo dramma anche le dimissioni del governo presieduto da Hassan Diab, che nel gennaio 2020 era succeduto a quello di Hariri, e la ripresa della protesta popolare.
I libanesi protestano in piazza non soltanto pretendendo il ricambio della classe dirigente, ritenuta corrotta e incapace di far fronte ai bisogni di una popolazione sempre più impoverita (secondo le stime della Banca Mondiale il 45 percento della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà), ma anche l’abolizione del sistema confessionale/consociativo che caratterizza e determina da sempre la vita politica e sociale del Paese.
Negli ultimi anni sulle possibilità di ripresa del Libano ha pesato anche la crisi del bilancio dello Stato che ha motivato l’ampio ricorso al sistema bancario nazionale e dunque ai risparmi dei libanesi che si vedono imporre restrizioni bancarie sempre più insostenibili.
Il 7 marzo 2020 il Governo libanese, con un debito estero pari a quasi il 170% del PIL nazionale, dichiara l’impossibilità di onorare la scadenza di una rata di Eurobond pari a 1,2 miliardi di USD, e di lì a poco la sospensione temporanea di tutti i pagamenti relativi agli Eurobon in USD.
Queste le condizioni che causano da più di in anno una vertiginosa svalutazione della Lira Libanese rispetto al dollaro statunitense sul mercato nero, a dispetto di un cambio ufficiale di circa 5 volte inferiore al valore di scambio.
In questo scenario, la crisi sanitaria legata alla pandemia da Covid-19 con le sue pesanti ripercussioni dirette sul fragile sistema sanitario e indirette sul sistema produttivo, genera pressioni su un sistema caratterizzato da un equilibrio sempre più fragile.