Campagna#16 – #giorno3 : La PAROLA è la medicina a cura della violenza

Il punto di vista di Denise Abou Nassar, direttrice dell’Ajem Center di Beirut

       

PAROLE: raccontarsi può salvare la vita di una donna vittima di violenza, anche quando tutti pensano che sia già in salvo. Secondo Denise Abou Nassar, operatrice del settore sociale e responsabile dell’Ajem Center di Beirut, “la parola è il primo passo verso la guarigione dalla violenza subita”, ci racconta durante il nostro incontro. Il Centro, che include anche uno rifugio protetto, è l’unico luogo di accoglienza di ex detenuti in Libano , per aiutarli a reintegrarsi nella società. Prima azione del Centro è “creare le condizioni di fiducia affinché il soggetto abbia il coraggio di esprimersi.”, Afferma Denise che da anni lavora con ex detenuti, drogati, rifugiati e senza tetto. 200 persone dipendenti dalla droga vengono curate da AJEM, grazie anche ad un finanziamento della Cooperazione Italiana. Il Centro aiuta gli ex detenuti a ricostruire il rapporto con le famiglie, principalmente le mogli e i figli dopo la carcerazione e la riabilitazione nello shelter. “Quando si e’ in carcere, c’è sempre lo stigma e la relazione con la famiglia diventa problematica. A volte una reintegrazione non riuscita può portare a gravi violenze” commenta Denise che ci dice “Quando abbiamo aperto il nostro shelter ai persone vittime della droga, c’erano solo uomini e ci siamo chiesti perché?” racconta. “Poi abbiamo iniziato a realizzare delle campagne per far conoscere il nostro programma anche alle donne che vengono spesso obbligate dai compagni ad assumere la droga, loro malgrado. Per non aver paura e farsi curare perché è un loro diritto”. Anche perché “noi crediamo che tutte le vicende di droga in questo Paese abbiano un legame con la violenza.” E ancora una volta sono le donne ad essere più esposte: “Quando la persona che assume la droga è una donna, viene vista con maggiore stigma di un uomo e viene rigettata dall’intera società. È peggio.”

 

                                                                                                  Foto: In primo piano, Denise Abou Nassar con lo staff del centro durante la visita della Titolare di AICS Beirut,

                                                                                                                      Alessandra Piermattei (in fondo)- Copyright: Aics Beirut 

Campagna #16 Giorno#4: La storia di Pauline, dai matrimoni “tossici” alla galera per traffico di droga

In questa storia raccolta dagli operatori di Ajem in una prigione femminile libanese, la donna racconta il suo incubo tra una famiglia violenta, diversi matrimoni falliti e il carcere.  

Pauline, classe 1989 di famiglia siro-cristiana e libanese con un livello di educazione fino alla scuola elementare. Ha vissuto con il padre, che si è sposato e ha divorziato più volte, cambiando religione per potersi sposare. A dodici anni, decise di lasciare la casa di suo padre e di trasferirsi nel monastero di Deir Aabrine per allontanarsi dal padre e da sua moglie per le violenze che subiva. Non ha conosciuto sua madre naturale fino all’età di diciotto anni.

Anche Pauline, emulando il padre, si è sposata più volte, la prima volta con un matrimonio precoce all’età di sedici anni, ha avuto tre figli, una femmina e due maschi. I mariti di Pauline erano violenti, alcoolisti, tossicodipendenti, hanno abusato di lei costringendo lei e sua figlia a prostituirsi e a spacciare droga.

Ha tentato di sfuggire a questa vita trovando un lavoro come tassista, ma non era abbastanza per pagare l’affitto di casa; pertanto, è stata sfrattata ed è finita a vivere per strada. Così si è rimessa a spacciare droga per sopravvivere e alla fine è stata arrestata.

Attualmente si trova in carcere da 18 mesi. I suoi figli, tutti ancora minori, si trovano presso vari istituti e associazioni.

Pauline non ha nessuno su cui contare, ma in carcere grazie alle attività del progetto della Cooperazione italiana sta trovando dei benefici. L’assistenza psicosociale è stata fondamentale per lei per riacquistare fiducia in sé stessa; la formazione professionale con cui sta imparando degli skills che le consentiranno di trovare un lavoro dignitoso una volta uscite dal carcere.

Con queste attività Pauline sta gettando le basi per ricostruirsi una vita futura, senza violenza e senza droga, da poter trascorrere un giorno fuori dal carcere in compagnia dei propri figli.

 

Campagna #16 giorno #5: La psicologa: “Molte Donne detenute che seguiamo hanno sperimentato la violenza”

Lina Riachi – Ph.D in psicologia è la coordinatrice di Ajem Ong locale impegnata – con AICS e ARCS-  nel progetto “DROIT” per il miglioramento delle condizioni di detenzione nelle carceri libanesi.       

   

Lina Riachi è una psicologa e musicoterapeuta, coordinatore dei programmi di assistenza psico-sociale dell’organizzazione non governativa libanese AJEM, molto attiva nelle prigioni in Libano. Ha lavorato su vari progetti finanziati dalla Cooperazione Italiana nelle prigioni femminili e nel Centro di riabilitazione di Rabieh.

Con AJEM seguiamo molti casi di violenza di genere, sia in prigione che fuori, e organizziamo campagne di sensibilizzazione e conferenze su questo tema, per aiutare queste donne che spesso sono VITTIME anche del PREGIUDIZIO”.

Le attività di assistenza psicosociale svolte da AJEM con il supporto di AICS, con sessioni settimanali di gruppo e individuali, hanno permesso alle donne vittime di violenza di esprimere le proprie emozioni, di ripensare alla propria vita e cercare di trovare una soluzione ai loro problemi. “Cerchiamo di dare loro la SPERANZA DI POTERCELA FARE, di aspirare ad una vita migliore in futuro”. 

A volte ci limitiamo ad ascoltarle, a volte le guidiamo e se ce lo chiedono le indirizziamo, a volte vogliono solo avere la possibilità di ascoltare della musica e rilassarsi, piangere per SFOGARE IL LORO DOLORE della vita passata”.

Ci riferisce Lina che tali donne si pentono di ciò che hanno commesso, ma spesso gli atti criminali compiuti sono la conseguenza delle violenze subite nell’ambito familiare. Le famiglie purtroppo spesso non condannano e tollerano gli atti di violenza, le madri di queste stesse donne permettono le violenze sulle proprie figlie e sono a loro volta vittime.

Ritengo ci sia bisogno di più campagne di sensibilizzazione verso i genitori e le generazioni più anziane. Le NUOVE GENERAZIONI SONO MIGLIORI, più evolute, cominciano a comprendere che è sbagliato e ad agire diversamente”.

                                                     Foto: Lina Riachi (a destra) con una collega e l’Esperta AICS Rita Petrilli presso la sede di AJEM – Beirut